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Storie dal Mali // La scuola sull’isola di Dialagoun

Il Niger è il terzo fiume più grande dell’Africa, dopo il Nilo e il Congo. Nasce al confine tra la Guinea e la Sierra Leone e, disegnando una mezza luna verso est, attraversa il Mali, il Niger, costeggia il Benin, la Nigeria e sfocia nel golfo di Guinea. La mattina presto o al tramonto, quando l’aria è più fresca e il cielo si dipinge di arancione, amiamo passeggiare sulle rive del Niger. Arriviamo in una tranquilla striscia di terra rossa dove India, il nostro cane, può finalmente correre libera. Appena trasferiti a Bamako, ci siamo resi conto che i maliani non sono abituati ai cani; molti, soprattutto le donne, ne hanno talmente paura da cambiare strada quando ci incontrano. Cerchiamo di essere sempre attenti, così durante le passeggiate lungo il fiume, quando arriviamo nella zona che abbiamo soprannominato la lavanderia, le rimettiamo il guinzaglio. La lavanderia è un uno spiazzo dove gli uomini, e a volte anche le donne, lavano coperte, tappeti, vestiti di ogni tipo che lasciano asciugare a terra e sui cespugli. Spesso, nel tardo pomeriggio, ragazzi e bambini, dopo aver lavorato, si lavano nel fiume per poi rilassarsi stesi sull’erba aspettando che i capi si asciughino. Non importa quante volte abbia assistito a questi rituali, ne resto sempre rapita per la semplicità dei gesti e la pace che trasmettono.


Una domenica, approfittando della visita di amici dall’Italia, abbiamo organizzato un giro in piroga sul Niger. La prospettiva della città cambia: i grigi palazzi sembrano lontani, mentre guadagnano spazio i villaggi dei pescatori, i bambini che giocano a tuffarsi, le mille lavanderie, i contadini che si occupano dei loro piccoli appezzamenti di terra coltivata, ma anche i rifiuti e la plastica, che come un cappio si stringono al collo del fiume e della città intera. Quel giorno il capitano della piroga ci ha fatto scendere su un isolotto, e senza darci troppe indicazioni, ci ha lasciato la libertà di esplorarlo. Cosi abbiamo cominciato a passeggiare. Poco dopo abbiamo incontrato delle grandi tende con i loghi dell’UNICEF con dentro lavagne, gessetti colorati, libri, banchi, giochi. Una scuola! Entro incuriosita, mi guardo intorno cercando le tracce degli studenti e dell’ultima lezione; i libri ancora aperti sui banchetti, le lettere dell’alfabeto fissate ai muri. Tornando a casa avevo ancora in testa le immagini di quella scuola circondata dal verde e dall’acqua. Ma perché su un’isola? Dopo qualche mese la mia amica Karine, che vive qui da 17 anni, mi spiega che insieme al marito, Fred, hanno contribuito al recupero di una piroga per una scuola. Mi racconta così la storia dell’isola Dialagoun e della sua scuola, nata per andare incontro alle esigenze dei bambini che vivono sulle rive del fiume, i bambini della popolazione Bozo.


Ogni mattina 218 bambini attendono in diversi punti del fiume una delle due piroghe a disposizione per raggiungere la scuola: noi lo chiamiamo il pirogabus. Durante il viaggio, come in qualsiasi scuolabus, giocano divertendosi a schizzarsi con l’acqua tenendo al riparo gli zainetti. La settimana dopo, in un caldo martedì mattina, ci siamo anche io e Karine ad aspettare la piroga per andare a visitare la scuola dell’associazione Karama. Siamo alla Cité du Niger, all’altezza dell’hotel Mande, un grande albergo che immagino abbia goduto di grande splendore negli anni passati, oggi dal fascino decadente ma con una bella terrazza sul fiume. Nonostante siano passati due anni, non riesco ancora ad abituarmi al contrasto tra realtà cosi diverse.


Arrivate sull’isola, da lontano, vediamo i bambini più piccoli intenti a disegnare su tavolini bassi sotto un albero dai rami ricchi di disegni. Appena si rendono conto della nostra presenza ci corrono incontro. L’entusiasmo dei bambini è incontenibile. Qualcuno mi mostra un disegno o mi fa vedere come è bravo a fare l’occhiolino; qualcuno mi prende per mano. Come al solito, io sono molto emozionata e travolta da tanto affetto. Incontriamo Marie, la direttrice della scuola, che con grande tenerezza convince quasi tutti a tornare ai loro disegni. C’è chi però non molla, e cosi vengo scortata da due piccole dolcissime mani per quasi tutta la visita. Marie ha uno sguardo attento e delicato, un sorriso generoso. Capisco che ha un rapporto speciale con ognuno di questi bambini. Facciamo il giro dell’isola mentre risponde con pazienza ad ogni mia curiosità. Mi racconta che anni fa, appena arrivata in Mali, insegnava in una scuola in città. Frequentando regolarmente il villaggio Bozo di Badalabougou (un quartiere di Bamako) in poco tempo si è resa conto delle grandi difficoltà dei bambini Bozo. La maggior parte di loro non frequentava la scuola perché i genitori avevano paura di fargli attraversare la città e preferivano tenerli tutto il giorno al villaggio con loro.

I Bozo sono un popolo seminomade che vive principalmente di pesca ma pratica anche l'agricoltura. Sono considerati i padroni e i guardiani del fiume Niger: gli uomini trascorrono gran parte della giornata sulle piroghe a pescare o a raccogliere sabbia, mentre le donne si occupano della gestione quotidiana di casa e famiglia. Se da un lato la promozione dei riti e della cultura Bozo è necessaria per proteggere le tradizioni e il patrimonio immateriale del Mali, dall'altro presenta molte lacune. Come tanti altri bambini di Bamako, anche quelli della popolazione Bozo non hanno la possibilità di accedere all’istruzione. Così, se i bambini Bozo non possono raggiunge la scuola, è la scuola che raggiunge i bambini.

L’isola di Dialagoun si trova in una posizione strategica, proprio di fronte ai campi dei Bozo. Il progetto viene accolto molto bene dalla popolazione locale, rassicurata dal fatto che la scuola sarebbe stata proprio in mezzo al fiume, un luogo per loro sicuro e privo di pericoli. All’inizio i genitori avevano ancora delle remore all’idea di mandare i bambini, così decidono di cominciare a fare una prova solo con le bambine. Dopo aver constatato che non esistevano rischi, finalmente hanno deciso di mandare a scuola anche i maschietti. Purtroppo, questo fa riflettere sulle disuguaglianze di genere che ancora oggi esistono in Mali. Camminando e chiacchierando abbiamo assistito alla lezione di ginnastica, al laboratorio di bogolan e ad un corso che mi ha colpito più degli altri: avvicinamento e sensibilizzazione verso gli animali. I bambini di Bamako sono costantemente in contatto con gli animali più diversi: asini, montoni, mucche ma anche cani e gatti. Spesso li ho sorpresi a trattarli con poco rispetto, quasi li pensassero incapaci di provare dolore. Per questo credo che un laboratorio che li aiuti a sviluppare empatia nei confronti degli animali sia importante. Durante la ricreazione i bambini giocavano all’aria aperta, qualcuno si dava da fare nell’orto. Per tutta la mattinata ho avuto la sensazione di essere su un’isola felice, un micro mondo fatto di regole ma soprattutto di stimoli, gentilezza e felicità. Marie ha abbracciato bambini, asciugato lacrime, esortato i più grandi a studiare. Ogni scuola è importante, perché ha una missione straordinaria, quella di aiutare i bambini a sviluppare la curiosità, un metodo di studio, il rispetto per gli altri, una coscienza e tanto altro. In Africa occidentale, il 35% dei bambini non frequenta la scuola e un terzo degli insegnanti non è formato. Con una popolazione che si prevede raddoppierà entro il 2050, la mancanza di scolarizzazione per molti bambini avrà conseguenze importanti per le generazioni future. Con le sue classi nelle tende e all’aria aperta, i banchi di legno protetti dagli alberi, i laboratori, l’accesso all’acqua potabile, la possibilità di poter usufruire dei libri, questa scuola rappresenta una vera risorsa per i bambini che hanno la fortuna di potervi accedere. L’istruzione è la base dello sviluppo umano. L’istruzione aiuta le ragazze a scegliere l’età in cui avere figli e ha un impatto diretto sulla loro salute. L’istruzione migliora anche la partecipazione democratica, combatte la discriminazione e favorisce la crescita. Non dovrebbe essere una fortuna, ma un diritto. In Mali, come purtroppo in tanti altri paesi dell’Africa e del mondo, non tutti i bambini hanno questa possibilità. Mentre ci salutiamo chiedo a Marie se c’è qualcosa che posso fare, come posso rendermi utile. Penne Bic, mi risponde sorridendo. Non so perché, sono le uniche che funzionano sull’isola! Prendo una foglia come ricordo di questa giornata, la userò come segnalibro. Guardo il sorriso di Marie mentre spinge la piroga che ci riporterà in città e penso che le persone come lei rendono il mondo più bello.






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