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"Monogamia!" rispondono gli sposi, rivoluzionari, mentre parte l’applauso


“Le dimanche à Bamako c’est le jour de mariage” cantano Amadou e Mariam, una coppia di artisti maliani non vedenti divenuti famosi in patria e nel mondo grazie al ritmo travolgente della loro musica. La domenica, ad ogni angolo di Bamako, è possibile ammirare una sposa con il suo vivace corteo di parenti e amici. Le vedo mettersi in posa nei giardini pubblici, al parco, o su strade momentaneamente interrotte per lasciare spazio ai festeggiamenti, con sedie di plastica sotto un tendone bianco, e musica mista al fumo denso delle braci. La domenica mi sembra un giorno insolito per celebrare un matrimonio. Mi informo e scopro che la scelta si basa principalmente su due ragioni. La prima, di ordine pratico, è che essendo un giorno non lavorativo, consente la partecipazione del massimo numero di invitati. La seconda, tradizionale, è che la domenica è la vigilia di un giorno considerato benedetto, il lunedì. Nei miei approfondimenti, scopro anche che l’ultima domenica dell’anno è il giorno preferito per sposarsi dalle coppie di Bamako. Tutte queste informazioni, non fanno che accrescere la mia curiosità e il desiderio di scoprire come si svolgano i festeggiamenti. Ad ottobre, circa un mese dopo il mio arrivo, il mio piccolo desiderio si è avverato.


Mae, una mia amica, mi chiede di partecipare e, magari anche di scattare delle foto al matrimonio di una ragazza che considera come una sorella più piccola, Fifi. Sono entusiasta. Non sono mai stata ad un matrimonio musulmano e questa è un’occasione unica. Così, in preparazione del grande giorno, ci incontriamo a casa mia per un caffè e la futura sposa mi racconta come si svolgerà la giornata. Quella a cui sono stata invitata sarà la terza delle quattro cerimonie previste, probabilmente quella più simile alle nostre occidentali. Mi spiega che il rito di unione è già avvenuto alla presenza di una parte ristretta della famiglia. Questa, invece, sarà una festa con parenti e amici. Dopo qualche giorno, ci sarà ancora un’ultima cerimonia, più intima, a cui parteciperanno solo le donne e i parenti più stretti, senza lo sposo. Mi incuriosisce la storia delle quattro cerimonie, mi sarebbe piaciuto partecipare alla prima, immagino quella più sentita. Io mi sono sposata, ricordo la sensazione di grande amore che mi ha avvolto per tutta la giornata, e anche durante quelle seguenti. Mi chiedo cosa si provi a festeggiare più volte, se con il ripetersi delle celebrazioni si perda un po' di entusiasmo o se ogni giorno abbia emozioni e sensazioni precise, diverse. Mi piacerebbe approfondire la storia del rito a cui partecipano solo donne, immagino una serata magica dedicata al passaggio di tradizioni e segreti. Ma chissà! I fotografi per l’evento sono già stati scelti, ma a Fifi piace l’idea di uno sguardo femminile e occhi europei sull’evento. Io non vedo l’ora. - Vestiti di bianco - mi dice. Proprio di bianco come la sposa? Mi sembra stano! Siamo sicuri? Mi preoccupo, non so se devo coprire le spalle e le braccia, se ci siano regole da seguire, così apro l’armadio e le mostro tre abiti bianchi. Ne troviamo uno adatto, sono felice, non vedo l’ora. Appuntamento per domenica. Il giorno del matrimonio arrivo a casa della famiglia di Fifi. È una grande casa dalle mura rosa, gremita di persone. Non conosco nessuno, ma mi viene subito indicata la stanza dove trovare la sposa. Mentre sorrido agli sguardi curiosi, attraverso la cucina affollata, un altro paio di stanze, e finalmente arrivo nel posto giusto. Come un quadro in movimento, ragazze si fanno truccare, bambini giocano a terra, qualcuno riposa su un divano mentre la tv accesa trasmette un programma musicale.


Fifi, è molto bella, indossa un abito bianco di pizzo. Su mani e piedi i tatuaggi all’henné, propiziatori per fortuna e fertilità, orecchini, collier, e il velo. Comincio a scattare foto mentre le ragazze finiscono di prepararsi. Sono tutti indaffarati, l’unica calma è proprio la sposa. Dopo poco dobbiamo andare. È arrivato lo sposo con la sua famiglia, entrano in casa, baci, abbracci, foto di rito e ci dirigiamo verso il comune. Attraversiamo strade che ancora non conosco, nel traffico intenso di Bamako. Asini, carretti trainati a fatica da giovani e il corteo di auto si confondono nelle strade polverose. Io sono in macchina con i due fotografi: Mike, che scopro essere libanese, e Mohamed. Ne approfitto per informarmi sulla loro vita e su come si svolga la professione di fotografo a Bamako. Sono contenti, lavorano molto con i matrimoni. Come in tante altre parti del mondo, anche qui le famiglie che possono permetterselo ci tengono ad organizzare un evento speciale e ricco di ricordi. Arriviamo in comune. L’ufficio è una stanza piccola, trascurata e ingiallita dal tempo. Tende marroni e beige a fiori che fanno da sfondo, cavi che penzolano, lo schermo di un televisore sgangherato, un orologio fermo da chissà quanto tempo, un vecchio condizionatore rotto come le pale del ventilatore.


Non si respira. Siamo tanti, troppi. In questo ambiente così decadente, la sposa spicca raggiante. Io sono in piedi accanto al celebrante, provando a fotografare schiacciandomi contro la parete dietro di me, ma siamo tutti troppo vicini. Affianco a me Mike gentilmente mi spiega a bassa voce dei passaggi che non riesco a cogliere. Fa talmente tanto caldo che sento le gocce di sudore scorrere dietro le ginocchia, sulla fronte, cadono copiose negli occhi e sulla macchina fotografica. Le ragazze sventolano i loro ventagli e ogni tanto bevono un sorso di acqua. Anche Mike fatica a tenere la macchina fotografica vicino al viso. All’improvviso, sorprendendomi, il celebrante si rivolge direttamente a me. Un po' come è successo quando ero al villaggio sul fiume Niger, mi dice: "Tu, blanche, parli o almeno capisci il bambara?". Provo a scusarmi, già con il francese me la cavo così così, penso, figurati il bambara. Gli spiego che mi sono appena trasferita, e l’unica parola che conosco al momento è kanbe che significa au revoir. Un po’ poco lo so e probabilmente non adatta all’occasione. Arriviamo al momento saliente del rito, quello che sembra essere atteso da tutti i partecipanti. Il celebrante chiede allo sposo, la sposa in questo caso non ha potere decisionale, di scegliere se per il matrimonio vorrà la poligamia, che in Mali non solo è legale ma anche molto diffusa, o la monogamia. "Monogamia!" risponde lo sposo mentre parte l’applauso. Sono tutti felicissimi, si abbracciano tra loro, si scambiano baci. Anche io sono contenta, è una felicità contagiosa. Mi sembra una scelta romantica e, a giudicare dalla reazione degli invitati, sicuramente fuori dal comune. Qualcuno poi mi spiegherà che in realtà c’è sempre tempo per cambiare da monogamia a poligamia, e io un po' ne sono delusa. Ma non credo che questo sarà il caso. Dopo lo scambio degli anelli e le firme, con mia grande gioia, riusciamo ad uscire da quella stanza polverosa. Altre foto di rito nel cortile e via di nuovo in auto, in direzione della casa dello sposo. Insieme con il corteo, arriviamo in una sorta di villetta. Anche qui nel giardino sono state sistemate file di sedie; mi colpisce un montone, legato, che dorme tranquillo e non sembra essere infastidito dal rumore. Gli sposi siedono su un divano bianco mentre tutta la casa è in festa. Ci sono dei cantori, sembrano dei menestrelli moderni che, con l’aiuto del megafono, elogiano la sposa e le sue qualità. Nel frattempo, c’è un incredibile passaggio di banconote dai parenti agli sposi e ai menestrelli.




Mi spiegano che sono dei griot, cantori e poeti che hanno il compito di conservare e tramandare la memoria storica degli avi. Mi rendo conto come, in questo momento, stia partecipando a qualcosa di davvero unico. Sono ubriaca di voci, visi, profumi, vestiti e make-up straordinari. Se mi guardo dall’esterno, probabilmente sono leggermente fuori luogo, poco trucco, senza acconciatura, un vestito semplice. Mi chiedo cosa penseranno di questa blanche, con la macchina fotografica in mano. "Che ci fa qui?!". Avrà sicuramente pensato qualcuno. Ma la felicità della giornata è nell’aria e lo scambio di sorrisi avviene spontaneamente. Mentre sono persa a scattare fotografie, cercando di non essere invadente, Mike mi passa una bottiglia d’acqua e mi consiglia di riposarmi un po’. "Sarà una giornata lunga", mi dice. Una bambina attira la mia attenzione, avrà 6 o 7 anni, un viso bellissimo, sembra molto timida e ogni volta che la guardo si nasconde sorridendo. Indossa già l’hijab e io mi sorprendo a non sapere a che età si indossi per la prima volta.



Dopo la prima torta salutiamo tutti e ci dirigiamo verso casa della famiglia della sposa. La mattina, presa dall’euforia che mi circondava, non avevo notato il giardino allestito con sedie bianche e un palchetto al centro con una cascata di fiori per gli sposi. E così si ricomincia! Musica, cantori, cantanti. Si balla, amici e parenti salgono sul palchetto ad omaggiare la coppia. Tutti hanno un cellulare in mano pronti a scattare un selfie, mentre i bambini corrono senza sosta, circondati da lunghi abbracci. La tecnologia combinata alla tradizione ha sempre un gusto insolito. Mi guardo intorno e mi sembra incredibile essere lì in quel momento, circondata da persone che non conosco, dal ritmo dei tamburi e dalle voci dei griot. Sono rapita dai colori cangianti dei bubu, gli abiti maschili tradizionali, le acconciature lavorate con pietre nei capelli, riccioli incastrati in gioielli che non avevo mai visto prima, e poi le ciglia lunghissime, i tatuaggi come ricami su mani e piedi, tutti diversi. Mi offrono una coca cola, mi siedo e la bevo come se non bevessi da anni. Tutto ciò che mi accade intorno è insolito per me, ma allo stesso tempo così tradizionale e ancestrale che mi sembra quasi di farne parte da sempre. Comincia a piovere, ma nessuno si scompone troppo. Gocce leggere sui veli, sui sorrisi e sugli abiti, accompagnano il momento dei saluti e i lunghi abbracci prima di congedarsi. Il ritorno a casa è interminabile. Restiamo incastrati in una serie di embouteillage, ingorghi, che possono durare ore. Sono stanca ma grata di questa opportunità. Sono entrata nelle case e nelle vite di persone che mi hanno accolta con grande amore e rispetto, ho percepito la felicità e l’energia di un giorno importante, ho avuto la possibilità di vivere delle tradizioni che non conoscevo. Tutto questo mi sembra un grande privilegio. Ho incontrato una comunità diversa, scoprendo un altro spirito, altri dettagli, e altri colori. Un altro volto di questa città così ricca di contraddizioni, che sto imparando lentamente a conoscere.






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